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Il datore di lavoro deve verificare che la formazione erogata al dipendente sia patrimonio acquisito in concreto

Il datore di lavoro deve verificare che la formazione erogata al dipendente sia patrimonio acquisito in concreto

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha messo in luce un principio tanto importante quanto, molto spesso, sottovalutato. In materia di formazione, il datore di lavoro ha oneri multiformi che vanno dal conoscere puntualmente la normativa che disciplina i diversi percorsi formativi, alla organizzazione ed erogazione dei corsi stessi fino ad arrivare all’attuazione dell’obbligo descritto in questa sentenza ed in molte altre precedenti ad essa.

La sentenza è molto chiara nel definire i principi cardine in materia di obbligo formativo che si possono riassumere così:

  1. Il datore di lavoro, che non adempie agli obblighi di informazione e formazione, risponde dell’infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell’espletamento delle proprie mansioni, pone in essere condotte imprudenti. Tali condotte imprudenti sono considerate conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi.
  2. L’obbligo formativo non è escluso in presenza di un personale bagaglio di conoscenza che, talvolta, il lavoratore può avere per effetto di una lunga esperienza operativa, né tantomeno può considerarsi sostituibile da quello che la Corte definisce come “il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori”.
  3. L’obbligo di formazione non si esaurisce nel passaggio di conoscenze teoriche e pratiche al dipendente; il datore di lavoro (o un soggetto da lui delegato) deve infatti verificare che tali conoscenze siano divenute “patrimonio acquisito in concreto dal lavoratore” e ciò può essere garantito solo attraverso una effettiva prova pratica, sotto la supervisione di un tutor.

Nel caso di specie il lavoratore aveva subito l’infortunio durante l’utilizzo di una pressa di stampaggio a caldo per la produzione di pezzi metallici: prelevando un pezzo incandescente dal nastro con le pinze, introduceva la mano sinistra sotto lo stampo ma premeva inavvertitamente con il piede il comando della pressa mentre aveva ancora la mano sotto lo stampo, determinando così l’infortunio.

Nei gradi di merito, oramai da molti anni, viene sempre preso in esame il percorso formativo del lavoratore infortunato e, nel caso specifico, da tale esame erano emerse alcune gravi mancanze. Il lavoratore, assunto da poco tempo, era stato infatti addetto alla pressa solo qualche giorno prima dell’infortunio. Egli aveva affermato di essere uno stampatore ma gli stessi colleghi di lavoro avevano appurato che non aveva alcuna competenza nello specifico settore. Il corso generale sul funzionamento dei macchinari era durato solo quattro ore ed egli era stato avviato a lavorare da solo sul macchinario in questione dopo appena due giorni, “senza una previa verifica pratica e in assenza di un vero e proprio affiancamento e di una concreta supervisione”.

La formazione impartitagli è stata dunque giudicata, in tutti i gradi di giudizio, del tutto insufficiente ed il legale rappresentante dell’azienda è stato condannato per il reato di cui all’art. 590 cod. pen (lesioni personali colpose).

(Corte di Cassazione Penale Sez.IV – Sentenza n.54803 del 7 dicembre 2018 – Infortunio con una pressa di stampaggio a caldo. L’obbligo di formazione non si esaurisce nel passaggio di conoscenze al dipendente ma va verificato che esse siano patrimonio acquisito in concreto)